Quale futuro per le castagne con la lotta senza quartiere al cinipide?
Il cinipide del castagno ha dato tanto da pensare ai coltivatori in questi anni. Sembrava quasi una replica della vicenda delle palme con il Rhynchophorus Ferrugineus, con la differenza che il castagno è una pianta autoctona, italiana, e che quindi un attacco a essa poteva presentare, oltre che un grave danno all’economia, anche effetti molto dannosi all’ecosistema, mentre la palma non lo è.
Il cinipide, questo parassita dei castagni, ha quindi preoccupato non poco, ma come per il Rhynchophorus si è ricorsi agli antagonisti naturali. Nel caso del cinipide, l’antagonista si chiama Torymus Sinensis e ha rappresentato il metodo più diffuso in tutta Italia per debellare il parassita. Certo, ci sono voluti centinaia di lanci di Torymus Sinensis, ma alla fine, a quanto pare, la tattica agronomica sta dando i suoi frutti.
In alcune regioni d’Italia, infatti, la presenza del cinipide è calata verticalmente, attestandosi anche su percentuali del 10%. Ci sono quindi buoni margini per debellare completamente il parassita e tornare a occuparsi con la solita lena, attenzione e cura alla coltura, al raccolto e alla vendita delle castagne, un frutto che ci identifica in tutto e per tutto come nazione e che costituisce un capitolo importante di economia ma anche di tradizioni.