Le castagne nell’Antica Roma

Iniziamo a parlare più approfonditamente di come erano viste le castagne nella storia: cominciamo da un’epoca di buongustai, l’Antica Roma.

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Essendo un albero che si diffuse ben presto nel bacino del Mediterraneo, il castagno – con le castagne – non era certo un estraneo a Roma. Inizialmente assunse nomi diversi dalle «noci nude» del De Agricultura di Catone il Censore, fino alla «castanea» che si trova nel De Re Rustica di Marco Terenzio Varrone: la castagna era un frutto che i ragazzi offrivano alle ragazze di cui erano innamorati.

Dai tempi di Virgilio, il castagno assunse una funzione a 360 gradi: dalle foglie venivano creati materassi e la castagna era entrata negli usi alimentari. Plinio il Vecchio parla invece forse delle antenate delle caldarroste: «Sono più buone da mangiare se tostate; vengono anche macinate e costituiscono una sorta di surrogato del pane durante il digiuno delle donne». In altre parole, Plinio, sebbene sia colui che abbia affrontato a tuttotondo l’argomento «castagne» non le amava troppo, ma di questo parleremo in un altro post.

Naturalmente, l’Impero Romano, con le sue province, fece sì che quella pianta, il castagno, nato come selvatico, si espandesse in tutte le zone del regno. Con il passare dei secoli, in tutto il mondo le castagne si sono diffuse in diverse varietà, ma quella del Mediterraneo, quella che consumiamo noi, resta unica ed è già dall’epoca romana che fu chiamata «sativa», per essere distinta dalla castagna americana e dalla castagna asiatica.

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